Aeroporto: il re è nudo

A maggio 2016 saranno passati due anni dall’apertura delle buste per l’assegnazione dell’aeroporto di Forlì e nonostante le rassicurazioni e gli impegni di mano in mano presi da parte dell’ azionista di maggioranza della società Air Romagna Robert Halcombe, ancora non è chiaro se, come e quando, il Ridolfi tornerà a volare.

Da tempo il territorio chiede di avere chiarezze sul percorso, sui tempi e sulle responsabilità relative alla riapertura dello scalo. Le vaghe risposte ricevute fino ad oggi a nostro avviso non permettono né agli ex dipendenti del sito aeroportuale di programmare il proprio futuro né al territorio di credere ancora che l’aeroporto possa essere un volano per l’economia forlivese, con il rischio di perdere tutti tempo, credibilità ed opportunità.

Per questo riteniamo che sia necessario avere risposte chiare sia da Enac che da Air Romagna.

Come nella favola del “Re nudo” nessuno ha il coraggio di guardare i fatti come amaramente e realmente si presentano. A fine marzo saranno 3 gli anni nei quali Forlì è senza scalo e l’ Aeroporto in quanto bene della città non può essere ostaggio di nessuno.

Per questo ci deve essere chiarezza sul percorso e se vi siano difficoltà queste non possono che essere rese pubbliche ricercando soluzioni che non possono che essere condivise con la Città. Robert Halcombe il 23 febbraio promise in una lettera alle organizzazioni sindacali un incontro al suo rientro in Italia proprio per chiarire le tempistiche di riapertura dello scalo, ebbene leggiamo dalla stampa che il rientro in Italia c’è stato ma di quell’invito ad oggi non vi è traccia. Noi vogliamo ancora credere che una soluzione positiva per Forlì possa esserci, ma chiediamo serietà ai nostri interlocutori e chiarezza dalle istituzioni che vigilino sulla bontà dell’ operazione ed evitino il rischio sempre più evidente che l’Aeroporto sia oggetto di speculazioni che nulla hanno a che fare con la concreta ripartenza dello scalo consapevoli che seppur l’imprenditore sia un privato, il bene è, e deve rimanere, un “bene comune” al quale noi non rinunciamo.